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Commercio e somministrazione - Pubblicate nuove Risoluzioni del Ministero dello sviluppo economico

Giovedì 25/10/2018, a cura di TuttoCamere.it


Sono state pubblicate, sul sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico, le seguenti nuove risoluzioni:

1) La risoluzione n. 160624 del 16 maggio 2018 risponde al quesito di un Comune che ha chiesto di conoscere se un soggetto che ha presentato regolare Segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) per il commercio di prodotti alimentari e non alimentari possa svolgere anche l’attività di commercio al dettaglio di fumetti, ovvero se la vendita di fumetti sia ricompresa nella tipologia di giornali e periodici e pertanto necessiti anch’essa della presentazione di una ulteriore SCIA al Comune competente per territorio.

Il Ministero richiama quanto stabilito dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 170/2001, nel quale si stabilisce che possono esercitare l’attività di vendita della stampa quotidiana, in regime di non esclusività, le strutture di vendita come definite dall'articolo 4, comma 1, lettere e), f) e g), del D.Lgs. n. 114/1998, con un limite minimo di superficie di vendita pari a metri quadrati 700, e pertanto: le medie strutture di vendita, le grandi strutture di vendita e i centri commerciali.

La circostanza che il soggetto in questione abbia presentato una SCIA per l’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio alimentare e non alimentare lascia presupporre che trattasi di un esercizio di vicinato, ossia di una struttura di vendita che, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del D.Lgs. n. 114/1998, rientra nella lettera d), non presente fra quelle espressamente previste dal citato comma 3, dell’articolo 2, del decreto legislativo n. 170 del 2001, in quanto il titolo autorizzatorio per le medie e grandi strutture di vendite, compresi i centri commerciali, è l’autorizzazione e non la SCIA. Pertanto, tale esercizio commerciale non può essere autorizzato alla vendita di quotidiani e periodici.

2) La risoluzione n. 160738 del 16 maggio 2018 risponde al quesito posto da un Comune che ha chiesto di conoscere se il titolare di una impresa individuale esercente l’attività di commercio su aree pubbliche in forma itinerante del settore alimentare, al quale, con sentenza dell’aprile 2016, è stata applicata la pena su richiesta della parti del G.I.P. del Tribunale irrevocabile l’11 maggio 2016 per reati tra cui ricettazione art. 648 C.P. che ha previsto una reclusione di 1 anno e una multa di 600 euro e con il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163 C.P., possa considerarsi sprovvisto dei necessari requisiti morali per l’esercizio dell’attività.

Secondo il Ministero, stando a quanto disposto dall’art. 71, comma 1, lett. c) e comma 4 del D.Lgs. n. 59/2010, essendo stata concessa la sospensione condizionale della pena, può considerarsi in possesso dei requisiti di onorabilità.

3) La risoluzione n. 160745 del 16 maggio 2018 risponde al quesito se la vendita di prodotti on line, anche alimentari, necessiti obbligatoriamente di un deposito. Nello specifico, viene precisato che i prodotti resterebbero conservati presso i grossisti locali o i produttori e verrebbero acquistati dal commerciante solo qualora il medesimo prodotto fosse effettivamente venduto tramite la piattaforma on line.

Il Ministero, dopo aver ricordato che per tale commercio è necessario il possesso sia dei requisiti morali che professionali, fa presente che nel caso di commercio non alimentare è necessario presentare una SCIA al SUAP competente per territorio; mentre nel caso di commercio alimentare, oltre alla SCIA per l’avvio dell’attività, è necessario presentare anche una SCIA per notifica sanitaria che deve essere presentata compilando un apposito allegato della SCIA, trasmesso a cura del SUAP alla ASL.

Con riferimento alla richiesta riguardante l’obbligatorietà o meno del deposito, il Ministero ricorda che tale indicazione risulta presente all’interno del modulo standardizzato di cui all’Accordo sancito in sede di Conferenza Unificata il 4 maggio 2017 (Rep. 46/CU), il quale richiede espressamente di indicare l’indirizzo del magazzino solo se diverso da quello della ditta/società/impresa. Il riquadro in discorso non va compilato, ovviamente, nel caso in cui non vi sia necessità del magazzino.

4) La risoluzione n. 331482 del 10 settembre 2018 reca i chiarimenti forniti del Ministero dell’Interno in merito all’ambito di applicazione dell’articolo 14-bis della legge n. 125 del 2001 (Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati), commi 1 e 2, rispetto alle attività di somministrazione di alimenti e bevande e alla conseguente corretta interpretazione del termine “pertinenze”, con particolare riguardo agli spazi concessi per dehors su suolo pubblico.

Si ricorda che il citato articolo 14-bis della L. n. 125/2001 è stato introdotto dall’art. 23 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge comunitaria 2008).

Al comma 1 di tale articolo si stabilisce che la somministrazione di alcolici e il loro consumo sul posto - dalle ore 24:00 alle ore 7:00 - possano essere effettuati esclusivamente negli esercizi muniti della licenza prevista dall’articolo 86, primo comma, del T.U.L.P.S..

Al successivo comma 2, come sostituito dall’art. 34, comma 1 della legge 4 giugno 2010, n 96 (Legge comunitaria 2009), vengono stabilite le sanzioni amministrative per chiunque vende o somministra alcolici “su spazi pubblici diversi dalle pertinenze degli esercizi di cui al comma 1”.

L’esigenza di chiarimenti è sorta proprio con riferimento alla corretta interpretazione del termine “pertinenze”, utilizzato in questo caso dal legislatore.

In altre parole: le porzioni di aree pubbliche date in concessione per il posizionamento di tavoli e sedie (comunemente denominate anche “dehors”) possono configurarsi come “pertinenze degli esercizi”, con la conseguenza che il divieto di somministrazione di alcolici dalle 24:00 alle 7:00 non deve trovare applicazione anche per tali porzioni di aree pubbliche, o no, come ritiene il Comune istante?

Secondo il Ministero dell’Interno, prevedere che il divieto di vendita o somministrazione di alcolici su spazi o aree pubblici diversi dalle pertinenze, dalle ore 24 alle ore 7, non operi per i “dehors”, sulla base di un’assimilazione di questi ultimi alle pertinenze, è inammissibile.

Per giustificare tale posizione si richiama alla nozione di pertinenza ricavabile dall’articolo 817 Codice civile, secondo cui: “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”.

Pertanto, affinché sussista un rapporto pertinenziale tra due beni sono necessari due presupposti: uno oggettivo, per cui la destinazione deve essere caratterizzata dal requisiti di durevolezza e quindi non meramente occasionale, e deve essere ad ornamento di un’altra cosa da intendersi come bene principale; e uno soggettivo, riscontrabile nella volontà del proprietario o titolare di un diritto su entrambe le cose di porre la pertinenza in un rapporto di strumentalità funzionale nei confronti del bene principale.

Fatte queste premesse, secondo il Ministero “emerge l’impossibilità di far rientrare il concetto di dehors in quello di pertinenza così come inteso dalla legge nazionale ...”.

Infine, relativamente al quesito posto dal Comune con il quale chiede se, stante la potestà di regolamentazione in ambito locale, di cui al comma 6 dell’art. 117 Cost,, possa intervenire sulla materia della somministrazione o vendita di alcolici su spazi o aree pubblici diversi dalle pertinenze disciplinata dai commi 1 e 2 del citato art. 14-bis della legge n. 125 del 2001 modificando l’estensione della durata oraria (h. 24 - 7) del divieto ivi previsto, il Ministero risponde richiamando i principi di legalità e di gerarchia delle fonti.

Secondo il Ministero, il caso in esame è materia trasversale, poiché investe senza dubbio l’ordine pubblico e la sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato, così come la tutela della salute, di competenza concorrente Stato-Regioni. Certamente non vi può essere alcuna residua competenza in capo agli enti locali. 

Anche laddove una materia sia di competenza concorrente, i principi fondamentali sono quelli fissati dallo Stato a cui la Regione deve attenersi.

Per scaricare il testo delle risoluzioni citate clicca qui.

Fonte: https://www.tuttocamere.it
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